A TU PER TU CON DELIO ROSSI: IL PROFETA DEL CALCIO!

Ampia intervista all’esperto tecnico riminese: la promozione in A della Salernitana, il suo futuro in panchina, Prandelli, la Superlega e…gli indiani

Mister, in questa stagione ha avuto modo di vivere il rapporto tra calcio e covid sia “sul campo” (avendo allenato l’Ascoli ad inizio campionato di B), sia da spettatore. Che idea si è fatto, del calcio al tempo della pandemia?

«Sicuramente è un altro tipo di sport, è un calcio diverso rispetto a quello cui siamo abituati. Sicuramente il virus ha inciso. Per mille situazioni. Già il fatto che non ci sia pubblico, per me non è calcio.

L’ambiente, la preparazione della partita, il modo di assistere alla partita. E’ tutto diverso, è uno sport diverso. Chi si è adattato meglio, ma soprattutto chi non ha avuto problemi di covid e avuto le rose più profonde, è stato avvantaggiato»

La Salernitana è in Serie A. L’ultima ascesa dei granata verso la massima serie risale al 1998, e in panchina c’era un certo…Delio Rossi. Conosce benissimo la piazza di Salerno, ma conosce altrettanto bene il patron Claudio Lotito. Si aspettava che in pochi anni il presidente della Lazio avrebbe portato la Salernitana in A, nonostante il noto problema delle multiproprietà?

«Conosco Lotito, è una persona ambiziosa che vuole fare le cose a modo suo. Soprattutto nel momento in cui ha preso la Salernitana, aveva in mente di cercare di portarla più in alto possibile. Ha rilevato la società dal fallimento e dalla Serie D, ma conoscendo il suo modo di operare, non avevo dubbi. Era solo questione di tempo. Non credo Lotito abbia acquistato la Salernitana solo per renderla la società satellite della Lazio, significherebbe non sapere cosa significhi il calcio per una piazza come Salerno.

Quest’anno hanno fatto veramente un capolavoro»

Quanto la emoziona la promozione della “sua” Salernitana?

«Sono contento per la città, per la gente di Salerno, per la tifoseria granata. Mi dispiace solo che come allora non possano gioire del tutto. 23 anni fa ci fu l’alluvione di Sarno, stavolta c’è il Covid. C’è però tanta felicità e questo mi fa piacere. Così come mi fa piacere che a guidare la squadra ci sia stato Fabrizio Castori. Un allenatore che non vende calcio, una persona seria e umile che ha riportato la Salernitana in Serie A dopo tanti anni. Onore e merito a questo allenatore. Che non fa chiacchiere, parla poco e soprattutto fa i fatti come giusto che sia»

Direi sia fuor di dubbio la sua stima per l’operato di Fabrizio Castori, ma in questi anni di gestione Lotito/Mezzaroma, è mai stato vicino alla panchina della Salernitana?

«No, mai»

A proposito di cadetteria, anche lei è stato protagonista in Serie B 2020-2021 sulla panchina dell’Ascoli. Esperienza breve e sfortunata, culminata con l’esonero a dicembre. Cosa è successo?

«Non è successo niente… Sono subentrato (a Valerio Bertotto ndr) in una situazione molto difficoltosa e soprattutto abbiamo giocato 7 partite in 20 giorni. Non sono venuti i risultati e il presidente ha deciso di cambiare. Anche perché un allenatore con le mie caratteristiche può incidere solo se lasciato lavorare, altrimenti il trend non cambia. A gennaio poi hanno rifatto la squadra comprando 20 giocatori ed han cambiato marcia. Sarebbe accaduto anche con me, e non avevo dubbi che ci saremmo salvati. Sicuramente occorrevano dei cambiper rendere la squadra più omogenea»

L’immediato futuro di Delio Rossi è già delineato? Qualche club l’ha contattata?

«Chiacchiere solo chiacchiere, niente di concreto. Siamo ai primi contatti»

Dove le piacerebbe allenare? Valuterebbe anche un’esperienza all’estero o la guida di una Nazionale straniera?

«Faccio questo mestiere da trent’anni. Lo dice la mia storia, non sono uno che cerca lavoro sotto casa, comodo. Non sono uno che ha paura di sporcarsi le mani, non avrei problemi ad andare all’estero(così come già avvenuto nel 2017-2018 al Levski Sofia ndr). Sono una persona curiosa, mi piace lavorare. Ovviamente mi farebbe piacere lavorare come dico io, dove posso esprimere le mie capacità e dare una mano alla società che mi ingaggia. Non faccio parte di nessuna scuderia, non ho procuratori, non ho social. Sono un po’ retrò per questo. Chi vuole Delio Rossi, alza il telefono e mi chiama!»

Nel corso di questa stagione di Serie A un suo collega, Cesare Prandelli ha rassegnato le dimissioni dalla Fiorentina, vittima dello stress. Condivide questa scelta così forte, dettata magari dalle eccessive pressioni e necessità di risultati che il calcio moderno comporta? Tra l’altro anche lei ha allenato la “Viola” e sa quanto sia esigente la tifoseria toscana.

«Sono scelte, discorsi molto personali, che ognuno vive alla sua maniera. Per dare un giudizio su una situazione del genere, bisognerebbe viverla allo stesso modo di come la vive quella persona in quel momento e contesto. Dire frasi del tipo “io avrei fatto così” oppure “era giusto fare così” oppure “ha sbagliato” “ha fatto bene”, a mio avviso non rende l’esatta dimensione di quello che vive quella persona in quel momento. C’è un bel proverbio indiano che dice “prima di dare un giudizio su una persona devi camminare, due giorni con i suoi mocassini”. Se Prandelli ha preso questa decisione significa che doveva fare così, poi tutte le considerazioni altrui lasciano il tempo che trovano»

Torniamo a parlare di lei mister, quale ritiene essere stata (finora) l’emozione più grande della sua carriera di allenatore?

«La mia storia dice che ho cercato sempre di fare il meglio. Ho avuto risultati dappertutto. Ho salvato squadre, le ho portate in Europa, ho fatto la Champions. Giocando anche in diverse maniere. L’importante è aver cercato sempre di ottenere il massimo con ciò che mi veniva messo a disposizione. Emozioni ne ho avute tante, e mi auguro di averne ancora altre. Sicuramente penso alla prima promozione dalla C alla B con la Salernitana, forse sono più legato a quell’esperienza perché era la mia prima panchina professionistica, o perchè la società non aveva soldi e senza la vittoria di quel campionato sarebbe sparita. Inoltre, il legame speciale che avevo con quei giocatori, coi quali siamo “cresciuti insieme”»

Già, la Champions League. Disputarla è un sogno per qualsiasi calciatore o allenatore. Lei ha realizzato questo sogno, ma cosa ha pensato alla notizia della nascita della Superlega, poi subito stoppata?

«Che il calcio andrà comunque a finire così, per me è solo un’idea accantonata. Fermo restando che dal punto di vista etico, dal punto di vista morale, dal punto di vista sportivo è una sconfitta per il calcio.

Ma nel momento stesso in cui hai venduto l’anima al diavolo, hai venduto tutto alle televisioni il calcio andrà sempre più nella direzione dello spettacolo, e sempre meno nella direzione dello sport»

Dopo anni di dominio bianconero, lo scudetto ha preso la via della Milano nerazzurra. L’Inter ha meritato il tricolore, ma ritiene che la Serie A sia in declino e rischi di diventare sempre più mediocre rispetto ad altri campionati?

«Più che essere mediocre, il nostro calcio è forse leggermente diverso dagli altri. Più tattico, con meno intensità. Sicuramente un calcio anche difficile. Prima dominavamo il mondo perché i migliori giocatori li avevamo noi. Adesso i migliori vanno da altre parti per un discorso economico.

Secondo me bisogna ristrutturare il nostro modo di intendere il calcio. Non ha senso la Serie A a 20 squadre. Si tenta di migliorare lo spettacolo aumentando le partite. Io la penso esattamente al contrario, un calciatore non può giocare 60 partite e giocare ogni 3 giorni la partita della vita. Per andare avanti.. bisogna fare un passo indietro. Ritornare a lavorare sui settori giovanili, cosa che non stiamo facendo più. E’ anacronistico avere la serie A a 20 squadre, la Serie B a 20 squadre e poi la C che non riesce a metà campionato a pagare gli stipendi, se non addirittura all’inizio. Il professionismo deve essere dei più bravi, allora miglioreremo sicuramente il livello.

Inoltre giocare la partita ogni 3 giorni, tende a far scocciare la gente, anche se ogni 3 giorni si giocasse Barcellona-Real Madrid la gente poi si stancherebbe di vederla, diventa routine. Anche dal punto di vista televisivo ci si sta allontanando dal calcio, e non perché non piaccia più. Solo che c’è troppa inflazione, secondo me. E a furia di gonfiarlo, il pallone poi scoppia»

di ANTONIO BORGHESE (Domandare è lecito…nel calcio)