Dilettanti: il calcio di tutti rischia l’oblio?

Da mesi il calcio giovanile e amatoriale logora a causa dei prolungati stop provocati dal Covid-19. L’ultima riforma rischia di affondarlo ancor di più.

Da sempre esiste nel mondo sportivo un istituto di legge di importanza fondamentale che fa nascere il rapporto associativo tra una società, regolarmente affiliata alla Federazione di appartenenza, e un atleta.

Si tratta del “vincolo sportivo”, ovvero, in ambito calcistico, l’obbligo di svolgere la propria attività sportiva agonistica solamente per conto della società per la quale è tesserato. E’utile rammentare come vi sia però sempre stata, sino ad oggi, una netta differenza tra atleti professionisti e dilettanti.

Normativa previgente

Il D.L. 20 Settembre 1996, n° 485(cd. Decreto Bosman o spalma perdite) convertito in legge 18 Novembre 1996, n° 586, che ha modificato l’art. 6 della L. 23 Marzo 1981, n° 91 ha abolito in via definitiva il vincolo sportivo per i professionisti. Tuttavia, nulla ha prescritto per i dilettanti; infatti, sempre sino ad oggi, l’atleta dilettante una volta tesserato presso un’associazione sportiva non poteva decidere in autonomia di tesserarsi presso un’altra associazione operante nell’ambito della stessa federazione.

Stante l’art. 31 delle Norme Organizzative Interne della Federazione Giuoco Calcio i ragazzi compresi nella fascia di età 8-16 anni possono essere tesserati per società che svolgono attività esclusiva nel Settore giovanile e nella divisione femminile con vincolo per la sola durata della stagione sportiva, al termine della quale sono liberi di diritto. Sempre seguendo quanto disposto dalle N.O.I.F., all’art. 32 si stabilisce che i calciatori che al 14° anno di età assumono con le società di appartenenza (L.N.D.) un vincolo di tesseramento sino al termine della stagione sportiva entro la quale abbiano compiuto anagraficamente il 25° anno di età debbano definirsi “giovani dilettanti. Sono invece “giovani di serie” quelli tesserati per una società professionistica il cui vincolo termina al 19° anno di età.

La presenza del vincolo sportivo non permette al giocatore di cambiare squadra in autonomia, ma solo con l’avvallo della società titolare del cartellino, eccezion fatta per casi particolari ben identificati dalle norme: sottoscrizione di un contratto da professionista, cambio di residenza suo o dell’intero nucleo familiare, fallimento della società di appartenenza, mancata partecipazione alle prime quattro gare ufficiali durante la stagione ecc. Le N.O.I.F., tuttavia, forse in ragione del rispetto di un principio fondamentale di libertà contrattuale che connota l’intero ordinamento permettono all’art. 108, di inserire nell’atto di tesseramento la clausola “svincolo per accordo” mediante la quale la società accetta che il calciatore al 30 giugno di ogni anno possa decidere di accasarsi altrove.

Contenuto della riforma

Tutto ciò però sembra destinato a cadere stando a quanto previsto dalla riforma del settore dilettantistico presentata dall’ex Ministro Spadafora e oggi approvata dal nuovo governo. Infatti, l’attuale Consiglio dei Ministri ha approvato l’abolizione del vincolo sportivo per i dilettanti a partire dalla stagione 2022/2023.

Una decisione che ha destato non poche polemiche nel calcio amatoriale perché con la sua introduzione si potrebbe definitivamente disfare un sistema, quello del “calcio minore” che già sta soffrendo da troppi mesi a causa della pandemia. L’abrogazione del vincolo sancisce la libertà per i giocatori dilettanti di cambiare ogni anno la maglia che indossano senza dover necessariamente attendere il consenso della società di appartenenza.

Un brutto colpo per le società non professionistiche perché se da un lato, si favorisce la libertà sportiva del calciatore dilettante, dall’altro, senza la tutela dei vincoli, le società difficilmente potrebbero sopravvivere e, soprattutto, non avrebbero nessun interesse ad investire nel settore giovanile. Le SSD e le ASD dovranno entrare nell’ordine di idee di dover rinunciare ai migliori profili cresciuti nel loro vivaio, senza magari poterli lanciare in prima squadra e, aspetto più gravoso, non potranno patrimonializzare una loro cessione.

Altro aspetto non di poco conto per le casse delle società non professionistiche è che dall’introduzione della riforma i calciatori per loro tesserati verranno considerati lavoratori iscritti alla Gestione Separata dell’INPS (e ciò è in netto contrasto con quanto previsto dalle N.O.I.F.) il che provocherà un aggravio di costi e versamenti. La domanda sorge spontanea: a chi andranno quei contributi data la brevità della carriera di uno sportivo? Bah…

La riforma prevede, inoltre, il versamento di un “premio di formazione tecnica” da corrispondersi all’ultima società dilettantistica o amatoriale nella quale abbia militato l’atleta in occasione della stipula del primo contratto da professionista. Una scelta alquanto paradossale per il sistema calcio perché, al netto del fatto che “non c’è premio alle società dilettantistiche che possa surrogarsi alla tutela del vincolo sportivo” -parole del Presidente della LND Cosimo Sibilia-, ci chiediamo se non fosse stato più utile mettere mano ad una riforma ai già esistenti premi di preparazione e formazione (art. 96 e 99 delle N.O.I.F.) rivedendo gli importi dei premi stessi, prevedendo nuovi coefficienti e dando a questi emolumenti l’importanza che meritano.

Nasceranno nuove società satellite nelle province? Ci sarà un aumento dell’abbandono dell’attività sportiva fin dai più piccoli? Le mamme e i papà decideranno di non iscrivere più i figli alle squadre di quartiere perché le rette annuali che dovrebbero sostenere saranno troppo alte? Inutile fare previsioni, ma questo è quanto. Ad oggi c’era bisogno di un vaccino per far ripartire il calcio, anzi lo sport giovanile e amatoriale invece (forse e a detta degli addetti ai lavori) lo stiamo infettando ancor di più di quanto non abbia già fatto Covid-19.

DI ALVISE GUALTIERI