MARCO BALLOTTA SI RACCONTA TRA PASSATO, PRESENTE E FUTURO…

A tu per tu con uno dei calciatori più longevi della serie A, le cui sfide non si sono fermate dopo l’addio al calcio giocato.

Il presente calcistico di Marco Ballotta è il ruolo di Presidente della ACD Castelvetro, società militante in Eccellenza, categoria la cui attività agonistica è ferma causa Covid.

Quali ricadute psicologiche ed economiche ha subito il suo club?

«Enormi disagi, soprattutto nei riguardi di giovani che hanno perso l’unica opportunità di stare all’aria aperta e con i compagni. La nostra società ha scelto però di non continuare perché non ci sono le condizioni per poter disputare un campionato. In Emilia Romagna solo 10-11 società su 43 hanno dato parere positivo alla ripartenza che forse avverrà il 18 aprile. A nostro avviso il format e il protocollo da seguire non è applicabile per club dilettantistici come il nostro. Peccato, perché avevamo una buona squadra che avrebbe potuto dire la propria per la promozione in Serie D, ma non ce la siamo sentita di continuare. Dal punto di vista economico c’è sicuramente un danno in quanto gli sponsor sono “fermi”»

Qual è la “missione” del suo Castelvetro? E poi una curiosità inevitabile: lei questa stagione era tesserato solo come dirigente o anche come calciatore?

«Partiamo dalla seconda domanda, rivesto unicamente il ruolo di dirigente solo perché quest’anno sono riuscito in tempo a trovare due portieri (ride ndr). La missione del Castelvetro è quella di coltivare al meglio il bel settore giovanile, dal quale ogni anno sforniamo dei giovani che portiamo in prima squadra. Quest’anno avevamo fatto una rosa equilibrata tra giovani interessanti e “vecchi” classe ’96 esperti della categoria. La squadra, dico la verità, era allestita nella maniera giusta e ci potevamo togliere delle soddisfazioni. L’obiettivo primario resta comunque lavorare bene nel settore giovanile, sperando che qualche nostro giocatore abbia fortuna di arrivare tra i professionisti»

Saliamo di qualche categoria, verso quella Serie A che l’ha vista nel recente passato tra i suoi protagonisti. Che effetto le fa veder giocare le partite nel deserto degli stadi vuoti?

«E’ una sensazione strana, che non mi piace. Ma bisogna adattarsi perché la situazione è questa. La mancanza di pubblico può incidere sulla concentrazione di un calciatore, aumentando i rischi di una prestazione incolore. Essendo però professionisti bisogna sopperire a questa mancanza, si gioca senza pubblico ormai da due campionati. Chiaramente in certi stadi “caldi” dove era difficile portar via dei punti. la mancanza dei tifosi porta a giocare un po’ ad armi pari, e non c’è grossa differenza tra giocare in casa o fuori»

Ha lavorato con allenatori importanti (Scala, Ancelotti, Lippi, Eriksson per citarne qualcuno). Con chi si è trovato bene e con chi male?

«Non dimentichiamo Lucescu. Mi sono trovato bene con Eriksson, Ancelotti ma anche con Ulivieri. Lippi l’ho avuto all’Inter ma anche al Cesena (squadra con la quale Ballotta ha esordito in A ndr) Con Scala ci sono stati momenti sì e momenti no. E’ andata un po’ male con Malesani, ma lì ero quasi a fine carriera. Ho avuto tutti allenatori diversi tra loro, ma ognuno di loro mi ha insegnato qualcosa». Io credo che la caratteristica importante di un allenatore sia la sincerità e il rispetto della parola data.

A suo avviso chi è il miglior portiere di sempre, e il portiere attualmente più forte?

«Miglior portiere di sempre dico Buffon, anche se il mio idolo da bambino era Dino Zoff che poi è stato anche mio presidente. Certo appartengono a due epoche molto diverse. Attualmente il più forte può essere Neuer, anche se a me piace tanto Allison. Per il brasiliano purtroppo questa è stata un’annata molto particolare. Quindi per il rendimento di questa stagione, dico Neuer»

A proposito di Buffon, lo ha visto ragazzino a Parma. All’epoca era già un predestinato? Ora Gigi si trova in una situazione molto simile a quella che ha vissuto lei qualche anno fa, decidere a 43 anni se continuare o smettere…

«Quando ero al Parma lui era ancora molto piccolo, avrà avuto massimo 15 anni e si aggregava a noi giusto per pochi allenamenti. Se ne sentiva già parlare, si intravedeva in lui qualche qualità e l’atteggiamento giusto, ma all’epoca era impossibile immaginare chi sarebbe diventato e la carriera che avrebbe fatto. Se continui a giocare a 43 anni vuol dire che ti senti bene, quando scendi in campo e hai ancora delle prestazioni di alto livello, ottieni quella benzina che ti consente di dire “ok continuo”. Lo stato fisico indubbiamente fa la differenza e non ti consente di essere lo stesso di 15 anni fa, ma lo stato mentale conta tantissimo: se ti diverti agli allenamenti, senti la considerazione dello spogliatoio e dell’ambiente, sono fattori utili per continuare. Altrimenti meglio smettere perché significa che hai fatto il tuo tempo»

L’emozione più grande nella sua lunga carriera, e la parata più bella…

«Ho avuto la fortuna di vincere qualcosa, ma una soddisfazione enorme fu quella di vincere la Coppa delle Coppe, primo trofeo internazionale del Parma vinto in uno stadio come Wembley. Non posso però trascurare la vittoria della Coppa Italia, sempre a Parma contro la Juventus, o la promozione in serie A con il Modena già 38enne. E’ indubbio che a Roma con la vittoria dello scudetto della Lazio c’è stata un’emozione enorme, ma è stato ancor più bello vedere i tifosi gioire in quel modo e la durata dei festeggiamenti.

Non ho una parata “bella” in particolare. Di parate importanti, determinanti per il risultato finale ne ho fatte abbastanza, come la famosa su Del Piero che consentì alla Lazio di vincere 1-0 a Torino, avvicinarsi alla Juve e poi superarla nella corsa scudetto.»

Qual è la “chimica” che si innesca in una squadra vincente? L’alchimia che si crea nel gruppo è un concetto spiegabile?

«Non è spiegabile, o meglio è spiegabile solo dopo il raggiungimento del traguardo. Ad esempio nel Modena che vinse il campionato di B, a circa 50 anni di distanza dall’ultima volta, conoscevo già un paio di giocatori coi quali mi ero sempre trovato molto bene, creando subito intesa. La stessa intesa si creò velocemente anche tra gli altri calciatori della rosa. Insieme ad un pizzico di fortuna creammo un gruppo di persone, prima che di calciatori, in grado di creare quel rapporto umano che spesso in campo vale più della tecnica. Il mix di giocatori creato era l’ideale l’uno per l’altro, consentendo al Modena di salire in serie A e poi salvarsi con molti elementi che prima di allora non avevano giocato né in B, né tantomeno in A.

Nei successi della Lazio invece non c’era una particolare chimica, c’erano 20 campioni e per andare d’accordo servivano le vittorie settimanali, altrimenti diventava un problema. L’allenatore aveva più la figura del gestore, tanti erano i fenomeni in rosa. Secondo me quella squadra ha vinto molto meno di quanto avrebbe potuto.»

Il calciatore più forte col quale ha giocato?

«Ho avuto la fortuna di giocare con qualche calciatore “forte forte”, ma senza nulla togliere a nessuno, Ronaldo il fenomeno: era di un altro pianeta»

Cosa sente di suggerire ad un ragazzino che si avvicina al ruolo del portiere?

«Ottima scelta…ottima scelta (ride ndr) non perché lo abbia ricoperto io, ma perché è il ruolo più bello, il più completo, il più indipendente. Dipende tutto da te, tu comandi. Devi avere determinate caratteristiche ed attitudini di forza caratteriale perché altrimenti non puoi fare il portiere. Devi avere il carattere forte ed equilibrato anche se dicono che i portieri sono tutti matti…ma non è vero! Il portiere deve essere invece un ragionatore, guidare la difesa e parlare molto. Perché parlando si evitano molti gol. Il ruolo è veramente completo, ma può dare sia grosse soddisfazioni sia grosse delusioni, perché se sbaglia il portiere…. sei da solo e dietro di te c’è solo la rete.»

Marco Ballotta cosa vuole fare da grande?

«Quello che sto facendo, anche se fermo io non ci sto mai. Faccio anche l’allenatore dei portieri, mi diverto mi piace stare ancora in campo. Sono aperto al cambiamento e alle occasioni che capitano. Ripeto mi piace quello che sto facendo, anche perché siamo in un gruppo di amici. Ma, se dovesse arrivare una chiamata da livelli più alti, penso di poter dare una mano.»

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