Quando la matita della fantasia disegnava un calcio che non c’è più…

“Mentre l’aria era ancora impregnata di acre odore di guerra, noi, mancati figli della lupa, allestivamo fin dalle prime ore del mattino interminabili partite di calcio che si esaurivano verso il tramonto, al rientro dei grandi dal lavoro. Al desco familiare tutti si raccontavano, i più grandi facevano sibilare accenti di riscatto sociale o di mesta rassegnazione. I più piccoli, abbandonati a se stessi nelle interminabili giornate estive, fantasticavano di mancati goal, di tiri rimbalzati sulla traversa. In realtà, le porte dei nostri campi inventati lungo le strade allora spoglie di tutto, erano delimitate, previo meticoloso conteggio dei passi, da mucchi di sassi o da volenterose cartelle nei periodi in cui si andava a scuola. Eppure, ognuno di noi era capace di disegnare con la matita della fantasia pali e traverse. Non era raro che al goal reclamato da chi aveva tirato, corrispondesse un convinto “no! era traversa!”. E tra un pacato litigio e l’altro le ore scorrevano vivaci, all’insegna del sudore mai asciugato che scivolava in lenti rivoli di sale lungo la schiena. Non ci fermava neppure la “controra”, pausa obbligata dalla gente del sud che si riparava (si ripara ancora?) dalla calura opprimente abbassando le serrande e, soprattutto, riposando minimo due ore. E non ci fermavano neanche le ginocchia sbucciate, le leggere slogature delle fragili caviglie o i segni di qualche fugace scambio di idee con spintarelle e calcetti velenosi. Il pallone di cuoio era una chimera: costava tanto ed era pericoloso; la palla di gomma si forava spesso ed era difficile ripararla. Il “nostro” pallone era ricavato da una vecchia calza da donna riempita di pezzi di giornale e di lana dismessa. Eppure  non mancavano le magie, i palleggi che facevano incantare le smorfiose sorelline obbligate a tifare dai davanzali delle finestre aperte allo spettacolo. Ci sembrava davvero di giocare a San Siro e il nostro petto si riempiva di orgoglio quando lo strano oggetto di pezza andava a gonfiare una rete che non c’era ma che la solita matita della fantasia aveva disegnato con cura”.

Franco Cataliotti