A causa del Coronavirus i club possono licenziare i calciatori che non accettano la riduzione dello stipendio?

Fonte: www.calciomercato.com

Gentile Procuratore,

ho letto da qualche parte che la società Sion ha proposto ai suoi calciatori la riduzione dello stipendio e nove di loro non hanno accettato i tagli imposti; il rifiuto ha causato il licenziamento degli stessi.


La mia domanda, pertanto, è la seguente: le società di calcio italiane non possono seguire l’esempio della società svizzera imponendo la decurtazione degli stipendi e, in caso di rifiuto, licenziare i calciatori in tronco? Alberto ’86

Gentile Alberto,


il Sion esattamente ha proposto la cassa integrazione ai propri tesserati e i 9 che hanno rifiutato sono stati licenziati.

In Italia, altro ordinamento, questo non può assolutamente accadere non essendo configurabile la violazione di un obbligo in capo al calciatore che rifiuta di accettare la riduzione del proprio stipendio.

In Italia due potrebbero essere le soluzioni, al di là delle prese di posizione di Lega di Serie A (che si è già espressa proponendo la decurtazione del 30% degli stipendi) e dell’Aic (che non sembrerebbe aver gradito la suddetta proposta dei Presidenti delle società di serie A):

1. la società di calcio può tentare di raggiungere un accordo con ogni singolo calciatore, così come ha fatto la Juventus con i propri tesserati.

2. in caso di assenza di accordo, la società può comunque imporre al calciatore la sospensione dello stipendio per il periodo in cui il calciatore non abbia prestato la propria attività sportiva, non essendoci stata prestazione lavorativa. Il riferimento normativo è quello dell’art. 1460 c.c. secondo cui “nei contratti a prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l’altro non adempie…”. In altre parole, se il calciatore non ha giocato (e non si è allenato) potrà non essere pagato per il periodo di sospensione dei campionati essendo mancata la prestazione sportiva (si potrebbe discutere se gli allenamenti in casa possano o meno essere considerati alla stregua di quelli prestati normalmente sul campo e quindi essere validi come prestazione sportiva).

In nessuno dei 2 casi sopra descritti, il rifiuto del calciatore ad accettare la riduzione degli stipendi potrà comunque essere causa di licenziamento dell’atleta stesso. Non può esserci, infatti, licenziamento per giusta causa laddove manchi la condizione prevista dal codice civile del grave inadempimento contrattuale del lavoratore (calciatore).

Avv. JC Cataliotti

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